La consulenza psicologica consiste in un consulto durante il quale vengono esaminati e discussi alcuni aspetti dell aproblematica riportata dal paziente: l’origine e la sua evoluzione, la presumibile diagnosi, le risorse che è possibile attivare e l eventuale necessità di coinvolgere altri specialisti.
Frequentemente evolve in un percorso di sostegno psicologico, un numero limitato di colloqui, volti ad identificare, spiegare e ridimensionare le problematiche e il disagio della persona ad ogni età, della coppia o della famiglia, attraverso l’individuazione e la condivisione di obiettivi concreti e realistici, a partire dalla storia e dalle aspettative individuali. Il fine è quello di fornire alla persona un aiuto concreto affinché risolva o impari a gestire le proprie difficoltà autonomamente, grazie alla proprie risorse personali.
La consulenza e il sostegno psicologico sono indicati nei casi in cui l’individuo si trovi ad affrontare:
- conflitti personali, familiari o lavorativi;
- situazioni di crisi associate ad elevata sofferenza emotiva (separazioni, lutti, malattie croniche o invalidanti);
- periodi di forte cambiamento o difficoltàdecisionali su tematiche emotivamente importanti (famiglia, lavoro, ecc.);
In alcuni casi ed in base al tipo di disagio, può essere necessario un percorso di psicoterapia.
La psicoterapia, come indica la sua stessa etimologia, è l’intervento indicato per la cura e il trattamento della sofferenza della psiche, sia essa di natura mentale, emotiva o comportamentale. Chi intraprende una psicoterapia non necessariamente manifesta una patologia psichica, ma il grado di sofferenza coinvolge più nel profondo la persona, inficiando la sua capacità di attivare le proprie risorse soggettive o il suo funzionamento personale, relazionale o lavorativo.
Potremmo dire che obiettivo di una psicoterapia è la cura e il cambiamento di modalità emotive, cognitive, relazionali e comportamentali che danno origine a una sofferenza più o meno intensa, compromettendo il perseguimento degli obiettivi importanti per il soggetto nonché vari ambiti della vita di quest ultimo (sociale, lavorativo, sessuale, familiare)
La diagnosi psicologica è una procedura di valutazione dello stato del cliente. Lo psicologo, grazie all’utilizzo di specifici strumenti diagnostici, fa una valutazione del funzionamento psicologico e individua quali sono le funzioni psichiche che contribuiscono a creare o ad alimentare la sofferenza del cliente in vari ambiti della sua vita.
Per esempio, se una persona si sente sempre nervosa e irascibile, ha un respiro irregolare e affannoso, non riesce ad affrontare situazioni sociali, ecc, rivolgendosi ad uno psicologo, potrebbe arrivare a capire che queste reazioni sono di tipo ansioso e sono dovute, ad esempio, ad una poca autostima personale e ad una bassa capacità di gestione delle proprie emozioni.
Il sostegno alla genitorialità (o parent training) è un intervento psicologico di accompagnamento per gli adulti che, per motivi diversi (cambiamenti fisiologici legati alle varie fasi del ciclo di vita dei figli, eventi critici, separazione, problematiche personali o dei figli ecc…) vivono delle difficoltà nel loro ruolo genitoriale. I percorsi di sostegno genitoriale mirano a comprendere e migliorare la relazione con i figli, gli stili educativi e comunicativi in famiglia per favorire una crescita migliore dei figli stessi.
Nel sostegno alla genitorialità lo psicologo incontra i genitori al fine di fornire loro un aiuto concreto per la gestione dei problemi comportamentali dei figli.
Nella Terapia Cognitivo-Comportamentale il terapeuta aiuta i genitori ad analizzare la situazione, a mettere in discussione vecchie abitudini disfunzionali, a creare connessioni tra antecedenti, comportamenti e conseguenze, ad apprendere nuove conoscenze relative ai principi dell’apprendimento. Tutta la famiglia e non solo il bambino è coinvolta nel processo di cambiamento.
La famiglia ed il bambino in questa ottica sono considerati sistemi aperti, ovvero il disagio emotivo di un membro del sistema familiare non può non avere connessioni con l’esperienza emotiva degli altri membri. In quest’ottica, anche in presenza di problematiche individuali del bambino queste hanno un’influenza sulle relazioni familiari generali. Spesso comportamenti del bambino che agli occhi dell’adulto appaiono come problematici, sono in realtà tentativi disfunzionali di adattamento a quello che è il contesto di vita. Il problema di un bambino è sempre un problema familiare. Il parent training aiuta i genitori ad incoraggiare i propri bambini a imparare come pensare e non cosa pensare imponendo loro soluzioni preconfezionate.
La caratteristica fondamentale di questo metodo e’,appunto, la possibilita’ di ottenere, attraverso esercizi che potremmo considerare “mentali”, delle reali modifiche corporee, che a loro volta sono in grado di influenzare la sfera psichica dell’individuo.
Cio’ e’ possibile poiche’ l’organismo umano e’ un’unita’ biopsichica, nel senso che mente e corpo non sono componenti autonome e indipendenti, ma sono strettamente correlate, in un rapporto di influenza reciproca e costante; e’ pertanto possibile attraverso semplici attivita’ mentali produrre modificazioni delle funzioni organiche e viceversa.
Per fare un esempio di questo concetto, basta pensare quando si ha fame: e’ stato dimostrato che, in questi momenti, la sola idea di un buon pranzo sia in grado di stimolare vere e proprie modificazioni fisiologiche, quali salivazione (la cosiddetta acquolina in bocca) e secrezione gastrica. In sostanza, sia che si mangi realmente il cibo, sia che lo si immagini solamente, il corpo reagisce nello stesso modo.
plicazioni ripetute nel corso del tempo perché risulti efficace. Il training autogeno è un metodo di auto-distensione, ciò significa che chiunque lo impari poi lo potrà gestire in maniera autonoma in praticamente qualsiasi situazione e luogo. Ciò conferisce a colui o colei che lo apprende l’opportunità di avere un “asso nella manica” da utilizzare in estrema autonomia senza il bisogno di aiuto da parte di altre persone.
Vi sono molte definizioni di assertività. Una di quelle maggiormente fruibili, anche per la sua semplicità, è quella di DeMuynck e Forster: la capacità di esprimere in modo chiaro e diretto le proprie opinioni, i propri bisogni e le proprie emozioni, cercando di mantenere nel contempo un rapporto positivo con gli altri. Essere assertivi non vuol dire pertanto solo “esprimere ciò che sento e penso”, ma significa anche farlo in un certo modo, utilizzando modalità comunicative consapevoli e socialmente adeguate, sia dal punto di vista verbale che meta-verbale.L’assertività ti aiuta ad evitare che altre persone ti sfruttino o ti manchino di rispetto e ti può anche aiutare ad evitare di prevaricare gli altri.
Imparare l’assertività ti darà inoltre la sicurezza e le competenze per gestire la stragrande maggioranza delle situazioni sociali che potrebbero creare disagio oltre a permetterti di comunicare efficacemente il tuo modo di sentirti.
Comportarsi in maniera assertiva può aiutarti a:
Migliorare la tua autostima e la fiducia in te stesso;
Capire e riconoscere e tue emozioni;
Farti guadagnare il rispetto degli altri;
Migliorare le tue comunicazioni;
Creare situazioni in cui tutti ne escono vincitori;
Migliorare la tua capacità di prendere decisioni;
Creare relazioni oneste;
Aumentare la tua soddisfazione sul lavoro.
Lo scopo di apprendere lo stile assertivo non è tanto quello di farsi valere (di diventare dei “duri”), ma piuttosto quello di stare bene con gli altri, sentendosi liberi di manifestare ed esprimere ciò che si pensa e si prova, tenendo però conto dei medesimi diritti altrui.
L’assertività viene inoltre concepita come un punto medio ideale posto tra due estremi opposti: il polo aggressivo ed il polo passivo. La persona che impiega uno stile aggressivoottiene ed esprime ciò che vuole, che pensa e che sente, ma lo fa senza tener conto dell’altro, della sua sensibilità e dei suoi desideri; tende ad imporsi agli altri, costringendoli a seguirlo nei suoi bisogni, in modo diretto (aggressivo), o indiretto (ad es. facendo leva sul senso di colpa).
La persona passiva invece si è abituata ad assecondare i bisogni degli altri, soprattutto per timore del loro giudizio; talvolta vorrebbe dire di “no”, ma alla fine risponde “sì”, per il timore delle conseguenze e per il bisogno di accettazione; le conseguenze negative per chi adotta questo stile sono spesso assai superiori a quelle positive: da un lato gli altri non attaccano il soggetto o non lo abbandonano, ma dall’altro la persona non riesce a soddisfare i propri bisogni (da qui l’insoddisfazione o i sintomi depressivi) e si sente sempre in balìa delle decisioni altrui (da qui talvolta i sintomi ansiosi).
La Mindfulness richiede sia concentrazione (una forma di meditazione) che accettazione.
Il concetto di Mindfulness riassume in sé gli insegnamenti di Buddismo, Zen e pratiche di meditazione Yoga.
“Il termine “Mindfulness” si riferisce ad uno stato di presenza mentale caratterizzato da attenzione non giudicante a quanto accade nel momento presente. E’ la capacità della persona di portare attenzione e vivere l’esperienza così com’è; uno strumento di grande efficacia nella riduzione dello stress per lo più generato dalla mente che teme ciò che può accadere in futuro o si rimprovera ciò che avrebbe potuto fare in passato.”
Si tratta, quindi, di una modalità di prestare attenzione, momento per momento, intenzionalmente e in modo non giudicante, al fine di risolvere (o prevenire) la sofferenza interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza che comprende: sensazioni, percezioni, impulsi, emozioni, pensieri, parole, azioni e relazioni.
È necessaria molta pratica per padroneggiare le tecniche di Mindfulness. Ma esistono molti esercizi, e ognuno può scegliere quello più adatto alla propria esperienza.
L’Acceptance and Commitment Therapy, detta in breve ACT, è uno dei più avanzati e autorevoli modelli di terapia cognitivo comportamentale, basata sulla mindfulness e su alcuni rivoluzionari principi – che hanno influenzato in modo profondo la psicoterapia contemporanea.
ACT significa terapia dell’accettazione(Acceptance) e impegno (Commitment), cioè i comportamenti auspicabili nei confronti della nostra vita, a cui, invece, si contrappongono i due comportamenti opposti della sofferenza psicologica: il rifiuto o la lotta contro i nostri stessi pensieri o le nostre emozioni e la rinuncia a occuparsi in modo più pieno e soddisfacente degli aspetti davvero importanti della nostra vita.
L’assunto di base è che la sofferenza psicologica fa parte della vita e non può essere eliminata.
Lo scopo è incrementare la flessibilità psicologica della persona in modo che possa vivere la propria vita in maniera consapevole seguendo i suoi valori, nel momento presente, e stando in contatto con le emozioni e le sensazioni corporee, malgrado tutte le difficoltà presenti e le esperienze dolorose inevitabili.
La tecnica dello Stress Inoculation Training (SIT) è un valido strumento per superare una situazione fortemente ansiogena.
Meichembaum (1985) definisce lo SIT: “E’ una forma di terapia cognitiva comportamentale flessibile, molto articolata al suo interno e ritagliata sui bisogni della persona “
Il presupposto di base su cui si fonda la tecnica è il seguente: “La reazione emotiva agli stimoli ambientali non dipende dalla natura degli stessi, ma dalle valutazioni che ne dà l’individuo”.
Quindi, attraverso una somministrazione graduale di eventi stressanti e la modifica del dialogo interno, il soggetto impara a gestire in maniera più funzionale le situazioni. L’idea dell’autore parte dall’osservazione del vaccino in medicina.
Il modello di trattamento della terapia dialettico comportamentale, o meglio conosciuta con la definizione inglese di Dialectical Behaviour Therapy (D.B.T.) è un trattamento di tipo cognitivo comportamentale sviluppato appositamente per il disturbo borderline di personalità.
La terapia dialettico comportamentale è la terapia di eccellenza per il trattamento di questo disturbo, soprattutto nelle sue forme più gravi autolesivo e parasuicidiarie
ie. Il format di terapia che si è dimostrato valido in tal senso implica la co-terapia e cioè una forte interazione tra la psicoterapia individuale e una forma di skills training (che solitamente si svolge in gruppo).
La DBT lavora su quell’insieme di comportamenti disfunzionali che a diversi livelli impattano la vita della persona con disturbo borderline della personalità: dai comportamenti suicidari e parasuicidari, a comportamenti impulsivi e disfunzionali che si traducono in una molteplicità di contesti e situazioni. Tra questi possiamo ritrovare ad esempio i classici comportamenti di autolesività, sessualità promiscua, abuso di sostanze o di alcool, disregolazione dei comportamenti alimentari, comportamenti rischiosi per la propria vita, eccessi di collera e agiti aggressivi nelle relazioni con gli altri. E una serie di altri comportamenti impulsivi che a medio e lungo termine si rivelano dannosi per l’individuo. In tal senso, si mira all’acquisizione e generalizzazione di un repertorio alternativo di risposte emotive, cognitive e comportamentali allo scopo di ridurre il discontrollo comportamentale.
Ma l’obiettivo della DBT non si riduce a questo; attraverso il miglioramento nella gestione di tali comportamenti altamente disfunzionali, nella regolazione emotiva e attraverso la validazione della grande sofferenza che spesso accompagna gli individui con disturbo borderline lo scopo finale è il miglioramento della qualità della vita del paziente affichè – come affermato da Marsha Linhean, fondatrice del modello- si costruisca un’esperienza di vita degna di essere vissuta.